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Colours, tetris e l'incastro perfetto


In questo momento fuori c’è il sole e un bel cielo chiaro e per questo mi sento abbastanza serena e in “giornata sì” per parlarvi un po’ meglio di questa sezione di Just Life che ho voluto intitolare “Talk Life” e del tipo di scambio che mi piacerebbe alimentare con tutte (e ovviamente anche tutti) voi.


Quando si giunge ai 30 anni e poi, inevitabilmente, ai 40 e oltre, diventa un pochino più complicato trovare il tempo, l’energia e anche l’opportunità di condividere con amici e amiche le proprie idee, le riflessioni, le proprie emozioni.


Ai tempi della scuola scambiare è quasi sempre semplice, si va a scuola insieme, si trascorrono ore a contatto di gomito e ci capitano, quasi nello stesso momento, una serie di “prime volte” che non dimenticheremo più e che in ogni caso condividiamo in tempo reale.


Poi la vita si complica, aumentano le dinamiche, i livelli, aumentano proprio gli “strati” di cose che dobbiamo sovrapporre, l’uno sull’altro, per tener conto di tutto e costruire, giorno per giorno, il nostro incastro perfetto.


La nostra generazione è fatta di grandissimi giocatori di Tetris, siamo dei campioni, in questo, non trovate?


Ma non è neanche solo una questione anagrafica, sapete?


La necessità di esprimerci, comunicare e soprattutto condividere, sentirci parte di qualcosa più grande di noi, poterci raccontare e rifletterci nei racconti degli altri, ci appartiene tutti, sin da quando siamo bambini e ci confrontiamo con i nostri genitori, e poi da adolescenti quando scegliamo la nostra tribù ed esponiamo i nostri colori.


Il cuore di tutto è dunque nel bisogno elementare che abbiamo di rispecchiarci e confrontarci, e nella sensazione che a volte proviamo di non riuscire a trovare quello spazio di condivisione, di scambio autentico, di cui spesso avremmo bisogno.


Personalmente, per orientarmi nella vita, per mettere alla prova certi desideri, per elaborare quei “pensieri guida” alla base del mio modo di vedere le cose, e quindi per capire come vivere la vita, ho bisogno di fare viaggi ed esperienze, leggere libri, vedere film, e poi – necessariamente – ho bisogno di parlarne con un’amica o con un amico. Così sciolgo i dubbi, così sposto il mio punto di vista, così cresco e divento una persona migliore. Almeno lo spero!


Vi ricordate il film Into the Wild?


C’è una scena, in particolare, in cui il bellissimo Emile Hirsch dice che c’è tanta gente infelice che tuttavia non prende l’iniziativa di cambiare la propria situazione perché è condizionata dalla sicurezza, dal conformismo e dal tradizionalismo: cioè da tutte quelle cose che sembrano assicurare la pace dello spirito ma che al contrario, spesso, ci lasciano insoddisfatti, perché per un essere umano non esiste nulla di più devastante di un futuro certo.


Quel film decantava la bellezza di fare continue nuove esperienze, la gioia di un orizzonte aperto, in costante cambiamento, del trovarsi ogni giorno sotto un sole nuovo e diverso, e quindi anche il coraggio di ribellarci contro le convenzioni che ci spingono verso una vita tranquilla e però anche noiosa.


Ecco, su di me questi argomenti hanno sempre avuto una certa presa e quel richiamo io lo avverto spesso.


Tuttavia, mi dico anche, è molto facile a dirsi ma poi praticamente?


Perché poi c’è anche quell’altra parte di me, quella sinceramente poco incline a pensare di vivere una vita solitaria a bordo di un camper, anzi, quella parte di me è francamente terrorizzata all’idea di trovarsi davvero in quella situazione.


Eppure la parte “ribelle”, che non intende piegarsi alle convenzioni e che mi spinge a vivere la vita “a modo mio” esiste e spesso mi sono sentita molto frustrata per averla repressa e messa a tacere.


E da qui la domanda.


Come far convivere le due parti? Come ampliare uno spazio in cui vivere a modo nostro, senza repressioni, ma comunque all’interno di un contesto sufficientemente certo e protetto da farci sentire “al sicuro”?


Ho rinvenuto una prima possibile risposta nella filosofia, che ha iniziato a interessarmi ai tempi dell’università e che poi ho continuato a frequentare negli anni.


In particolare mi è stato di grande aiuto un libro che vorrei consigliarvi: se non lo avete letto, fatelo. Funziona a 15, 20, 30, 40 e persino a 50 anni. Come dicevo prima, non è una questione anagrafica. Perché il modo di pensare alla vita ti cambia la vita.


Sto parlando de “Il Mondo di Sofia” di Jostein Gaarder, libro non recentissimo ma che dovrebbero assolutamente leggere tutti, e se non lo avessi già letto e riletto correrei con voi a ricomprarlo.


Grazie a questo libro ho potuto riflettere su almeno un milione di spunti e direzioni diverse. Una di queste, per tornare al punto da cui siamo partiti oggi, è l’Esistenzialismo di Jean-Paul Sartre.


E quello a cui ho iniziato a pensare da allora è che l’essere umano, diversamente dagli animali o dalle piante, non possiede nessuna “natura eterna” cui fare riferimento e quindi proprio per questo non serve chiedersi quale sia il “significato” della vita.


In altre parole, siamo condannati a improvvisare: siamo come attori che vengono mandati in scena senza avere un ruolo, un copione e un suggeritore che possa sussurrarci in un orecchio quello che dobbiamo fare. Noi stessi dobbiamo scegliere come vogliamo vivere perché siamo liberi di vivere come vogliamo la nostra vita, a partire dalle condizioni in cui ci troviamo a venire al mondo.


Siamo dunque condannati ad essere liberi, nel bene e nel male, e la nostra libertà fa sì che, per tutta la vita, siamo condannati a scegliere.


Non esistono né valori eterni né norme alle quali possiamo appellarci: per questo è ancora più importante quale scelta facciamo, perché siamo totalmente responsabili delle nostre azioni.


In pratica, la libertà umana ci impone di fare qualcosa di noi stessi, di esistere ’autenticamente’, di dare un significato alle nostre vite.

Esistere è creare la propria esistenza.


E questo implica, come conseguenza diretta, il fatto che ciascuno di noi tenda a creare la propria esistenza, a suo modo, partendo dalla propria sensibilità e dal proprio particolare punto di vista.


Se pensiamo questo, allora siamo anche in grado di “vedere” gli altri, con le loro unicità, le loro esperienze, le diverse visioni del mondo.


In sostanza, possiamo scegliere di essere chi siamo e allo stesso tempo possiamo sintonizzarci sul sentire unico delle altre persone iniziando a connetterci e dialogare. A stare “insieme”.

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