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EGOISMO vs ALTRUISMO: come ricomporre gli opposti e vivere felici

di Gioia Belardinelli


Partiamo da qui:

“Non si può coltivare il proprio benessere personale e individuale, se non si è in grado di pensare e contribuire al benessere del mondo in cui viviamo”.


Un concetto che, per noi di JustLife, ha valore programmatico e che ci capita di rilanciare spesso per testimoniare la necessità – allo stesso tempo epocale e generazionale – di superare una dimensione prettamente egoistica, dunque miope, ripiegata nella soddisfazione dei propri bisogni immediati, abbandonata al consumo delle merci e dei sentimenti.

Allo stesso tempo, un paradigma in grado di evidenziare l’importanza fondativa, per ciascunә di noi, di non rinunciare ai propri sogni, di non perdere mai di vista i desideri, di offrire spazio costante all’evoluzione e al cambiamento personale.


E dunque: come connettere le spinte alla felicità e all’autorealizzazione, con la cura dell’ambiente in cui viviamo, delle relazioni e dei sentimenti più delicati, salvaguardando l’amore e il rispetto che dobbiamo verso le altre persone e verso noi stessә?

Una domanda importante per la quale non esistono risposte univoche o preformate, ma da cui è giusto partire per iniziare a interrogarsi.


E in questo senso, la riflessione appare talmente vasta e intricata che forse non ha alcun senso cercare un motore primo, un punto logico iniziale da cui far scaturire, per accumulazione, considerazioni ordinate.


Allora partiamo da un’osservazione elementare e chiediamoci:

quando decidiamo di aiutare una persona – una persona che ci è cara oppure anche una persona che non conosciamo ma che le circostanze ci spingono ad aiutare -, quindi quando facciamo un gesto che ci fa sentire “buoni”, siamo mossi da un intento di condivisione perché ci preoccupa il bene degli altri, oppure siamo spinti dal senso di colpa o magari dalla speranza di ottenere qualche vantaggio in seguito?


Non parliamo di essere semplicemente buoni o cattivi, ma di quel precario equilibrio che c’è in ciascuno di noi tra l’esigenza di pensare a sé stessi e la capacità di percepire l’altro e i suoi bisogni.


In altre parole, appunto, il tema dell’egoismo e dell’altruismo.


In effetti, se ci pensiamo bene, non è mai così facile riconoscere le motivazioni reali e profonde alla base dei nostri singoli comportamenti e delle decisioni che assumiamo.

A volte bolliamo un comportamento come evidentemente “egoistico”, tuttavia dobbiamo riconoscere che, se è dettato da bisogni pressanti o da emozioni che non è facile gestire in un dato momento, forse non ha senso fermarci solo al giudizio e stigmatizzare, forse è necessario farci qualche domanda in più, capire meglio…

...e allo stesso modo, dietro un gesto che appare altruistico, possono esserci considerazioni e calcoli legati ai vantaggi personali che si possono ottenere comportandoci “bene”.


Nietzsche, a tal proposito, sosteneva che l’altruista non è sincero, perché “dietro ogni atto altruistico si nasconderebbe in realtà un movente egoistico”.

Ovviamente non abbiamo alcuna intenzione di apparire cinici, in questo discorso.


Anzi, al contrario.


Nel suo libro dal titolo “Il coltellino svizzero”, Annamaria Testa suggerisce che, “in questi tempi in cui essere egocentrici e cattivisti va così di moda, e in cui ogni forma di altruismo rischia di essere etichettata come buonismo obsoleto e fallimentare, un pensierino in più sul comportarsi in modo altruistico ci potrebbe anche stare”.


Dunque, in altre parole, per noi di JustLife appare interessante capire meglio certe dinamiche, proprio perché crediamo profondamente nell’importanza di restare uniti, di coltivare il confronto e la vicinanza. E poi anche l’empatia, la capacità di cogliere e sentire i bisogni degli altri, non solo i nostri.


In effetti, una delle necessità emergenti, nella nostra epoca così complessa, è forse imparare a sentirci parte di qualcosa di più grande di noi stessә, di una comunità reale, che ci aiuti tra le altre cose a non restare isolati, e quindi a non sentirci soli.


E allora che significa essere altruisti?


Il primo a coniare il termine altruismo, inteso come “vivere per gli altri”, fu Comte, sociologo e filosofo, nel suo “Catechismo positivista del 1852”, mediante il quale prendeva le distanze dalle correnti filosofiche che consideravano invece l’egoismo come unico motore dell’agire umano. In particolare, Comte teorizza che l’altruismo è istintivo e che, spingendoci a cooperare e a proteggerci a vicenda, favorisce la conservazione della specie.


Per inciso, quando parliamo di “altruismo” intendiamo l’atteggiamento e il comportamento di chi, al di là del provare ad essere una brava persona nei piccoli gesti quotidiani, si preoccupa concretamente del bene dell’altro a prescindere dal proprio. E quindi decide di comportarsi in un certo modo nonostante il rischio o il costo che può derivarne, e oltretutto senza attendersi alcuna ricompensa. Non si tratta quindi solo di provare compassione per il poveretto che ha un incidente e che guardiamo con pena passandogli accanto al riparo della nostra automobile.


Intendiamo qualcosa di più.


Ad esempio, per cominciare, fare un piccolo regalo a una persona che non conosciamo e che ci chiede aiuto in strada, ma guardandola negli occhi e senza distogliere lo sguardo. Fino agli atti più coraggiosi con cui si sceglie di mettere in gioco la propria vita per salvare uno sconosciuto.


Succede tutti i giorni, per fortuna. Gente che dona risorse personali anche importanti, compreso il proprio tempo.


Gente che sceglie di impegnarsi per migliorare le condizioni di vita degli abitanti della propria città o per dare voce a questioni decisive per la vita di tuttә, come le questioni ambientali o la mancanza di lavoro oppure le angosce legate alla guerra.


Annamaria Testa ci ricorda che nel nostro paese ci sono cinque milioni e mezzo di persone che fanno volontariato (quasi un italiano su dieci), mentre c’è chi dona il proprio sangue e perfino chi dona un rene a uno sconosciuto: si chiama «donazione samaritana» e in Italia, tra il 2015 e il 2019, è successo otto volte.


E ci sono pure molti vantaggi ad essere altruisti.


L’altruismo produce endorfine, ci fa stare bene e alcuni studi affermano che gli altruisti possano vivere più a lungo.


D’altro canto, noi esseri umani tendiamo ad essere più altruisti con chi è più simile a noi e che sentiamo far parte della nostra comunità: il che significa che tanto più è ampio il nostro orizzonte, arricchito dalla cultura, dalle esperienze, dai viaggi, dal confronto, tanto maggiore sarà il numero e il tipo di persone verso cui saremo capaci di essere altruisti. E viceversa.


In altre parole, viaggiare poco, conoscere e scambiare poco con le altre persone e le altre culture, chiuderci nel nostro piccolo gruppo, ci rende meno capaci di essere altruisti, riducendo in aggiunta la possibilità di sentirci sereni, soddisfatti e perfino di vivere a lungo…


Ok, non si tratta di una conclusione proprio scientifica ma ci siamo capiti ☺


Torniamo a questo punto alla domanda iniziale.


Le piccole decisioni quotidiane circa i comportamenti da assumere, quindi le scelte, piccole o grandi che siano, che riguardano anche il nostro modo di rapportarci agli altri (partner, famiglia, amici, colleghi), hanno per tutti noi un’importanza spesso decisiva: fidarsi, condividere, prendere, allontanarsi, scappare o rimanere. Scelte con cui fare i conti, a partire spesso da motivazioni e bisogni divergenti.


La paura di far soffrire, deludere o perdere qualcuno, oppure il desiderio di renderlo felice ad ogni costo…

…e poi la volontà di primeggiare, il bisogno di essere accettati, di conquistare qualcosa che sia solo nostro, e dall’altra parte la capacità di sentire gli altri, di aspettarli, aiutarli quando necessario, anche a discapito di un possibile beneficio personale.


Insomma le ragioni diverse, e però anche compresenti, che ci spingono ad essere altruisti oppure a pensare prima di tutto ai nostri interessi.


E ogni volta che scegliamo, c’è sempre la possibilità, anzi la consapevolezza, che avremmo potuto fare diversamente, che in fondo potevamo essere più altruisti, o viceversa avremmo potuto pensare un po’ più a noi stessi.


Questo perché, nonostante le nostre elucubrazioni, difficilmente si può essere egoisti o altruisti “puri”.


In pratica, se da una parte la mancanza di empatia e di cura delle relazioni si tradurrebbe in isolamento e nel conflitto perenne con tuttә, allo stesso modo sarebbe deleterio se qualcuno anteponesse sempre la felicità degli altri alla sua, della serie: come possiamo pensare di prenderci cura di un’altra persona, se prima non siamo capaci di prenderci cura di noi stessә?


Anche perché ogni essere vivente ha l’obiettivo primario, e anche il diritto, di conseguire il proprio benessere e la felicità.


E allora forse dovremmo imparare a bilanciare nelle nostre vite alcune dosi di “sano egoismo”, sciogliendolo nella capacità di sentirci connessi agli altri e di percepire e dare valore ai loro bisogni.


Naturalmente la riflessione è solo all’inizio.


E voi cosa ne pensate? Cosa muove i vostri comportamenti? Quanto conta la paura di deludere un’altra persona, il desiderio di renderla felice, rispetto al desiderio bruciante di seguire i nostri obiettivi e rispondere ai nostri interessi personali? Come riuscite a equilibrare le diverse motivazioni? E quali sono i comportamenti che ci fanno stare bene?...

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