di Gioia Belardinelli
Sin dai tempi di Aristotele, sappiamo bene che l’essere umano è per sua natura relazionale, cioè sociale e comunitario.
Nessuno di noi può bastare a sé stesso, l’isolamento porta alla solitudine e mai “alla virtù”.
Si tratta di un sistema complesso studiato dalla psicologia, dalla sociologia, dall’antropologia, poiché in ogni caso solo mettendoci in relazione con gli altri siamo in grado di soddisfare i nostri bisogni più profondi: identità, riconoscimento, appartenenza, gratificazione e appagamento, stabilità emotiva, intimità.
E d’altro canto sono le relazioni che abbiamo, e la loro qualità, a determinare non soltanto il nostro posto (e il nostro ruolo) nella società, ma anche buona parte della nostra felicità e della nostra soddisfazione.
Del resto, man mano che cresciamo o che invecchiamo, e quindi man mano che muta il nostro sistema di relazioni e ruoli, cambia anche il modo in cui pensiamo a noi stessi.
E ovviamente ci parlano di relazioni anche il teatro, la letteratura, il cinema e le nostre serie TV preferite... Ma sto divagando.
Non so voi ma quando penso alle relazioni sentimentali e a ciò che spinge una persona verso un’altra fino al punto di pensare di dividere una casa, il futuro, un pezzo di vita, con qualcuno che appena un momento prima era per noi uno sconosciuto o una sconosciuta, mi vengono subito in mente tante ma proprio tante domande.
I “problemi” sentimentali fanno più o meno parte della vita di tutti noi, ma ci sono persone che hanno la sensazione di essere destinati a storie infelici, precarie e instabili, con tutta la sofferenza che questo comporta.
Cosa contribuisce a perpetuare queste esperienze non soddisfacenti, caratterizzate magari da iniziali fiammate ma che poi alla lunga non portano mai gioia e realizzazione?
Poi c'è chi invece, per adattarsi a modelli imposti, si trova imbrigliato in relazioni apparentemente “stabili” in cui però non si sente felice, e anche qui mi chiedo cosa impedisce a queste persone di liberarsi davvero da queste famose “prigioni del cuore”?
In altre parole, c’è chi ha la stabilità e vorrebbe liberarsene, per sentirsi davvero libero, e chi viceversa baratterebbe volentieri un po’ della propria libertà per sentirsi appagato e felice.
Cosa distingue queste persone?
E mi chiedo peraltro se il punto possa stare proprio in una scelta – che mi sembrerebbe un po’ drastica e azzardata – tra stabilità e libertà, tra felicità e appagamento.
Allora dove possiamo spostarlo, l’accento? Cosa è davvero importante per essere felici in una relazione sentimentale e come possiamo contribuire ad alimentare un rapporto sano?
Personalmente ho sempre pensato che per ottenere una buona risposta, è essenziale formulare una buona domanda.
E quasi sempre le buone domande sono aiutate da buone letture.
Zygmunt Bauman, il teorico della “società liquida”, ha descritto con questo potente concetto la perdita di qualunque riferimento “solido” per l’uomo di oggi.
Per farla breve, nei suoi studi di tutta una vita, ha sostenuto che l'incertezza che attanaglia la società moderna deriva dalla trasformazione di tutti noi da produttori in consumatori.
Ok, ma cosa c’entra con l’amore?
Senza addentrarci in dissertazioni filosofiche sui massimi sistemi, ci basti sapere che per Bauman anche l’amore moderno è “liquido”. Si è ammalato, cioè, delle stesse fragilità che affliggono il nostro tempo.
E noi, amanti inquieti ed equilibristi tra le nostre insicurezze, siamo tutti consumatori. Consumatori di desideri.
Cosa c’è di male nel desiderio?
Nulla, ma per sua stessa natura il desiderio vuole consumare e così facendo coincide con la distruzione del suo oggetto d’amore. Ci comportiamo, diceva Bauman, come “raccoglitori di sensazioni”.
In questo senso ci ha lasciato detto che “le emozioni passano, i sentimenti vanno coltivati”.
It’s complicated”, cantava Avril Lavigne, ve la ricordate?
E aveva ragione. Perché anche l’amore è parte dell’infinito gioco della condizione umana in cui si contrappongono sicurezza e libertà.
Da un lato, secondo Bauman, abbiamo la tendenza ad instaurare rapporti duraturi per arginare la nostra solitudine.
Dall’altro abbiamo il timore di restare ingabbiati.
In mancanza di solidi legami ci siamo così avventurati in relazioni ambivalenti. I rapporti umani si sono cioè “liquefatti”.
La domanda allora sorge spontanea: “Dottore, c’è una cura?”
Se anche voi vi ponete spesso questa domanda allora siete nel posto giusto.
In questa rubrica parleremo di relazioni ma anche di separazioni, cercando di capire, anche grazie al supporto di una bravissima psicologa, come affrontare e superare uno degli eventi più duri nella vita di una persona e che riguarda sempre più coppie.
Se avete voglia di condividere la vostra esperienza potete scrivermi all’email belardinelligioia@gmail.com
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