di Gioia Belardinelli
Nel 1754 lo scrittore inglese Horace Walpole coniò il termine “serendipity” dopo aver letto una fiaba persiana intitolata “The three princes of Serendip”.
I protagonisti della storia sono i tre principi dell’isola Serendippo, antico nome dell’isola di Ceylon, l’odierno Sri Lanka, ai quali capita, per caso o per sagacia, di scoprire cose che non stavano cercando.
La traduzione in italiano è serendipità.
Cosa significa esattamente?
La serendipità è, per l’appunto, la capacità o la fortuna di fare, per caso, inattese e felici scoperte, mentre si sta cercando altro.
La serendipità in campo scientifico
Per esempio, si dice che Archimede intuì il principio della spinta idrostatica immergendosi nella vasca da bagno. Cristoforo Colombo, invece, arrivò solo per errore nelle Americhe pensando di aver raggiunto le Indie. E vogliamo parlare della penicillina scoperta nel 1928 da Alexander Fleming a causa di una piastra di coltura mal pulita? E ancora, Percy Spencer, mentre studiava i radar, non avrebbe potuto immaginare che le sue osservazioni avrebbero portato all'invenzione del famoso microonde. Così come sembrerebbe che i fuochi artificiali, che io amo sin da bambina, siano stati inventati in Cina per puro caso da un cuoco che unì carbone, zolfo, salnitro, nitrato di potassio, tutti prodotti relativamente comuni in cucina a quel tempo, scoprendo che si trattava anche di una mistura combustibile capace di esplodere, se compressa per esempio in un tubo di bamboo. E potrei andare avanti ancora per molto perché di storie così ce ne sono veramente tante…
E nella vita di tutti i giorni?
Ho sempre trovato questo termine veramente affascinante, perché l’idea che nel momento stesso in cui la vita si svolge, pur cercando altro, si possa scoprire qualcosa di inatteso, può farci comprendere anche quanto sia importante vivere secondo il nostro istinto, e quanto siano importanti anche gli errori, perché oltre a insegnarci tante cose (se solo non ci fermiamo al senso di fallimento) possono condurci a nuove scoperte o a incontri che ci cambiano la vita.
Pensare in questo modo significa dare un nuovo senso al vissuto e vedere (e capire) anche come i famosi rimpianti possono essere rielaborati come opportunità di sviluppo: riconoscere quindi di aver fatto una scoperta importante anche se non ha alcuna relazione con ciò che si stava cercando.
La serendipità ci spinge a guardare e vivere il mondo che ci circonda senza schemi fissi.
L’imponderabile della vita può diventare una risorsa solo se siamo capaci di sfruttare la casualità a nostro vantaggio. L’ anomalia, l'imprevisto, possono trasformarsi in circostanze favorevoli solo se siamo pronti a trasformarli in occasioni feconde.
Questo vale anche per le relazioni amorose, se ci pensiamo.
Per poter sfruttare davvero la serendipità bisogna affrontare la vita con la stessa curiosità con cui si affronta un nuovo viaggio, quindi pronti a trasformare ogni casualità in una nuova opportunità.
Penso che la felicità trovi la sua origine nella nostra mente, e quindi perché non darle la libertà di venir fuori in quanti più modi possibili?
Perché non c’è mai alcuna ragione seria per restare schiacciati dai sensi di colpa, risucchiati dalla malinconia, abbandonati prima del tempo ai bilanci di vita in perdita, o magari per restare intrappolati, paralizzati, nel timore di sbagliare: perché l’errore più grande è restare fermi.
Vorrei concludere con una frase attribuita al gesuita James Schall e che ho letto tempo fa sulla bella rubrica di Oliver Burkeman, su Internazionale: “La verità è che per godersi la vita bisogna essere disposti a sprecarla, senza essere sempre ossessionati dal dubbio che non la stiamo usando bene. Il tempo è troppo prezioso per trattarlo come una cosa troppo preziosa”.
Comments