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Endometriosi: una diagnosi non invasiva è possibile

L’endometriosi è una patologia invalidante che può causare infertilità e che spesso non si riesce a diagnosticare in modo tempestivo. L'Università UniCamillus, Genoma e L'Università di Torino hanno creato ENDO2023, un progetto per rivoluzionare la diagnosi non invasiva.


di Roberta Raviolo

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L’endometriosi è una patologia cronica molto diffusa che colpisce tra il 10% e il 15% della

popolazione femminile. È caratterizzata dalla crescita di endometrio, il tessuto che riveste

l’utero, anche in ovaie, vagina, intestino, con formazione di vere e proprie cisti anche di grosse

dimensioni.


Rappresenta una delle principali cause di infertilità e di dolore pelvico cronico

ma, nonostante l’impatto sociale ed economico significativo, non sempre viene individuata

facilmente. La diagnosi è spesso tardiva e invasiva, con percorsi

clinici lunghi e complessi.


Finalmente però un nuovo progetto si propone di realizzare un test non invasivo per la suaq diagnosi precoce attraverso tecnologie di ultima generazione nel campo

della biologia molecolare, delle scienze omiche e dell’analisi bioinformatica.


Si tratta di "ENDO2023 – Endometriosi e sviluppo di un lab-on-a-chip per la diagnostica non invasiva", un progetto di ricerca che nasce dalla sinergia tra l’Università UniCamillus (Research Organization), Eurofins Genoma (Host Institution) e l’Università di Torino.


Principale investigatore è la professoressa Chiara Benedetto, docente emerito di Ginecologia e Ostetricia,

affiancata da un ampio network di gruppi clinici e di ricerca multidisciplinari. Il progetto, che

durerà cinque anni e che prevede un budget complessivo di 8,5 milioni di euro, è in parte

finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca.


Tecnologie avanzate a servizio dell’endometriosi

Eurofins Genoma, leader nelle tecnologie molecolari per la diagnostica avanzata e punto di

riferimento nella ricerca applicata alla next-generation sequencing (NGS), ricoprirà un duplice

ruolo: sarà responsabile della componente di ricerca genetica nell’ambito delle scienze

omiche (miRnomica, trascrittomica e metagenomica) e guiderà lo sviluppo industriale e

tecnologico del dispositivo Lab-on-a-Chip. L’Università UniCamillus, in qualità di Organismo di

Ricerca, rivestirà un ruolo di primo piano nella promozione e nella definizione progettuale

dell’iniziativa, con un contributo significativo alla strutturazione scientifica del progetto

grazie a un team multidisciplinare altamente qualificato, organizzato in quattro unità

specializzate.

Le unità di Biologia Molecolare, Istologia, Biochimica e Microbiologia saranno

impegnate nell’individuazione di biomarcatori innovativi mediante l’integrazione di

genomica, metabolomica, trascrittomica, analisi computazionale e sviluppo di sistemi cellulari

in vitro.

Il progetto sarà supportato anche dalla Fondazione Medicina a Misura di Donna

Onlus e dalla sua presidente, la professoressa Benedetto, da anni impegnata nella promozione della salute e del benessere femminile attraverso il sostegno a progetti di ricerca clinica e interventi innovativi.


Obiettivo: velocizzare la diagnosi di endometriosi

L’obiettivo comune è sviluppare un dispositivo compatto, user-friendly e ad alta precisione,

capace di rilevare un’ampia gamma di biomarcatori (come miRNA, RNA, metaboliti, DNA

patogeno) caratteristici della malattia, in modo non invasivo.


L’impatto atteso di ENDO2023 è duplice: da un lato, una diagnosi più rapida e accessibile per le pazienti; dall’altro, una riduzione significativa dei costi sanitari, a beneficio dell’intero sistema pubblico.


I metodi tradizionali di identificazione dell’endometriosi comportano spesso tempistiche lunghe.

Spesso, infatti, sono necessari diversi anni prima che una donna raggiunga la diagnosi di

endometriosi: un lasso di tempo che fa perdere anni preziosi, perché la malattia “lavora” in

silenzio portando in alcuni casi all’infertilità. E le difficoltà persistono, nonostante le cure per

l’endometriosi siano state inserite nei Livelli Essenziali di Assistenza dal 2017. La visita

ginecologica annuale, con l’ecografia transvaginale ogni due anni sono comunque due pratiche

raccomandate a tutte le donne, indipendentemente dall’endometriosi, che possono

individuare una forma di malattia silenziosa.

L'ecografia transvaginale riesce a individuare infatti le cisti causate dall'endometriosi, distinguendole dalle altre malattie dell' ovaio. Se il medico sospetta un coinvolgimento vescica o retto può richiedere una risonanza magnetica.

La diagnosi definitiva si raggiunge solo con un prelievo di tessuto endometriosico in

laparoscopia, inserendo in anestesia locale nel basso ventre una sonda, per prelevare un

campione di tessuto ed esaminarlo.


Endometriosi:una malattia multifattoriale

L’endometriosi ha un’origine multifattoriale, dovuta a diverse cause che agiscono in sinergia

sull’organismo femminile. È ormono-dipendente, perché la crescita dell’endometrio è

stimolata dall’attività degli estrogeni, gli ormoni femminili prodotti dalle ovaie. Sembra essere

responsabile l’inquinamento ambientale, perché oggi l’organismo umano entra in contatto con

sostanze chiamate "interferenti endocrini" come gli ftalati, il bisfenolo A, il piombo, il cadmio a

e altro ancora. Queste esercitano un’azione simil-ormonale, stimolando ipotalamo e ipofisi a

produrre anche più ormoni sessuali.

Di recente è stata introdotta la teoria dell’eccesso di telomerasi, un enzima presente solo in alcuni tessuti dell’organismo, come l’endometrio e in alcune cellule come gli spermatozoi.

Le donne con endometriosi sembrano infatti avere elevati livelli di telomerasi. Esiste infine una componente genetica, poiché l’endometriosi tende a presentarsi nella stessa famiglia. Le cure contro questa malattia consistono nella somministrazione di farmaci di tipo ormonale, per mettere a riposo l’attività ovarica e stimolare la fertilità. Nei casi più avanzati serve l’intervento chirurgico per rimuovere il

tessuto endometriosico in eccesso.

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